Bravo, Mauro Berruto !!!

J681x1024-11718Come tanti altri appassionati ho seguito la recente vicenda dell’allontanamento per motivi disciplinari di quattro giocatori dalla nazionale di pallavolo e desidero complimentarmi con il coach azzurro Mauro Berruto per il coraggio e la determinazione mostrati nell’occasione. Soprattutto, per aver posto in primo piano valori come il rispetto delle regole, dei compagni, dell’allenatore e della squadra, oggi molto appannati se non addirittura ignorati e dimenticati non soltanto dai giocatori, ma anche da molte società.

Prendo lo spunto da questi fatti per una riflessione sul mondo che più conosco: quello del volley e dello sport dilettantistico e giovanile in genere, determinante nella crescita umana (e non solo tecnica) di persone che attraverso l’impegno possono maturare e consolidare un bagaglio di valori indispensabili (almeno io lo credo) nel prosieguo della vita di ciascuno.

Nel mio percorso pluridecennale – sono ormai da 48 anni nel mondo della pallavolo – ho potuto seguirne l’evoluzione come disciplina e attraverso l’interazione con le tantissime giocatrici che hanno calcato le palestre e giocato con i nostri colori.

Cercando di evitare di cadere nei luoghi comuni, senza retorica e rifiutandomi di fare di tutta l’erba un fascio, debbo confessare di trovarmi oggi piuttosto a disagio, incapace di condividere modelli e paradigmi (e trattandosi di giovani minori in questa mia riflessione sono evidentemente inclusi non solo gli atleti, ma anche i genitori) che vanno per la maggiore.

Trovarmi di fronte a bambine di 12 o 13 anni, alle prime esperienze agonistiche dopo essere state seguite passo passo fin dal minivolley, che motivano la richiesta di passare a un’altra società adducendo come giustificazione una presunta minore competitività della propria squadra, è francamente davvero triste ancorché deludente.

Non parlo naturalmente di ragazze dagli eccezionali mezzi fisici o tecnici, i cosidetti  “fenomeni” per le quali é assolutamente legittimo provare a mettersi alla prova in contesti più importanti, come altrettanto  doveroso è, da parte della società, autorizzare una collocazione in ambiti che possano concretamente consentire la pratica dello sport ad altro e alto livello.

È anche per questi motivi che lo sport, dove giorno dopo giorno si va smarrendo qualsiasi senso di appartenenza, sta perdendo il suo fascino ai miei occhi. Mi soccorrono, per spiegarmi meglio, due esempi mutuati dal mondo del pallone – per inciso: non amo il calcio e non ne capisco nulla -: Totti e Del Piero. Due talenti, due campioni ai quali non sono certo mancate proposte di ingaggio faraoniche in squadre blasonate, ma che hanno declinato per continuare a giocare con la loro società e i colori di sempre, il primo rinunciando a vittorie e trofei che con tutta probabilità in altre società avrebbe conquistato, il secondo accettando addirittura di scendere in serie B.

La rincorsa ossessiva dei contesti più competitivi, della vittoria, dei premi e quant’altro, il trionfo dell’ “io” sul “noi”, fanno inevitabilmente perdere di vista valori importanti come amicizia, spirito di squadra, serenità. Anche quando perdi una partita che hai giocato bene, ma contro avversari più forti.

Inevitabile perché in una squadra definita competitiva tutti vogliono eccellere e magari è pure difficile accettare che la tua compagna sia più forte di te: in fondo lo specchio di una società sempre più basata sull’individualismo e sulla competizione esasperata.

Di recente, nel corso di una conversazione il presidente di un’altra società mi ha detto che ormai bisogna accettare il fatto che siano gli atleti a comandare. No, assolutamente no. Se questo avviene è perché c’è, anche da parte di molte società, uno sfrenato desiderio di prevalere sulle altre che le porta ad accettare e tollerare comportamenti non consoni da parte degli atleti solo perché sono “forti”, o quanto meno ritenuti tali.

Lo sport diventa così una pratica fine a se stessa, comunicando a ragazzi e giovani l’idea che l’attività sportiva possa essere finalizzata solo al risultato o all’affermazione di sé.

È un’immane fatica quella che si trova ad affrontare chi come me riconosce allo sport una grande valenza educativa e vorrebbe mettere a frutto le grandi possibilità racchiuse nella pratica sportiva in ordine alla crescita delle giovani generazioni. Lo sport riproduce su un piano simbolico la realtà della vita, che è impegno, è lotta, è sofferenza, rabbia, gioia, soddisfazione, felicità.

E quindi non posso che ringraziare il coach della nazionale Mauro Berruto e dirgli “Bravo !!!” per averci rammentato il valore delle regole e l’importanza del loro rispetto insieme a quello dei compagni, dell’allenatore, dei dirigenti e delle società.

Elisabetta Cappelluti, Direttore Generale del 2D Lingotto Volley

 

 

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